“La manifestazione del proprio pensiero sui social network, anche se inizialmente indirizzata ad una cerchia limitata di persone (gli “amici” di facebook) deve comunque avvenire nel rispetto del criterio formale della continenza e, ove sia accertato che abbia contenuti lesivi dell’altrui dignità, può integrare gli estremi della molestia discriminatoria se rivolta verso un determinato gruppo etnico, in quanto è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile di persone” (Corte di Cassazione, ordinanza n. 14836 del 26 maggio 2023)
Così stabilisce la Corte di Cassazione intervenendo in una vicenda nata anni fa quando una giovane cittadina di Ivrea, destinata di lì a poco a candidarsi alle elezioni amministrative e a divenire poi assessore comunale, aveva messo in rete due post, nei quali insultava gli “zingari, non rom, ma zingari di merda, zecche e parassiti, capaci di spolpare tutto…” augurando loro “che una tagliola possa mozzarvi le mani..” e nel quale festeggiava la giornata dei rom chiamandoli “zecche che stanziano in campi abusivi…”.
ASGI, in quanto associazione legittimata dalla legge a promuovere giudizi contro le discriminazioni e le molestie razziali, aveva agito in giudizio, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Torino avevano rigettato il ricorso.
La Cassazione ha ora cassato la sentenza della Corte d'Appello, affermando che la molestia discriminatoria vietata dalla legge sussiste non solo quando la denigrazione è rivolta esclusivamente alla etnia, ma anche quando l’etnia viene associata a comportamenti delittuosi; e che inoltre qualsiasi manifestazione del pensiero, anche a mezzo dei social, deve essere rispettosa del criterio della “continenza” e non può mai ledere l’altrui dignità.
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